Imparare a disertare

I sette remi di Davide Dormino

Naviganti 2017
Davide Dormino, Naviganti - Monumento all'immaginazione (2017) - Foto di Francesco Cicconi.

Che l’Europa, per esistere come spazio politico, debba reinventarsi è un assunto difficilmente contestabile, se non a partire da un’idea mortifera che l’ha condannata in questi anni a essere un territorio sempre più diviso e povero, assediato e strangolato dalle politiche monetarie delle banche internazionali. Che questa reinvenzione debba passare attraverso uno sforzo di grande immaginazione, estetica e politica, è altrettanto evidente. E qui l’opera può giocare un ruolo sociale decisivo, al di là dello stesso sistema dell’arte.

Se attraversiamo con attenzione le piazze delle nostre città ci accorgiamo che queste sono piene zeppe di monumenti ai caduti e ai patrioti, orribili sepolcri insanguinati che celebrano le politiche di morte promosse dal capitale «nazionale» e dalle sue guerre gestite dalle varie classi dirigenti nazionali, ovvero dal «lavoro intellettuale» contro il «lavoro manuale», dal «lavoro morto» contro il «lavoro vivo», dalle borghesie contro il proletariato. Che i partiti socialisti abbiano votato i crediti di guerra durante il primo conflitto mondiale continua a essere una macchia vergognosa, un odioso tradimento che testimonia tutta la psicopatologia tragica del secolo passato. Ecco, quelle opere sarebbe bene abbatterle tutte, una per una, e sostituirle con degli anti-monumenti dedicati a quella forza creativa di cui oggi abbiamo più che mai bisogno.

E questo fa Davide Dormino con il suo ultimo lavoro intitolato Naviganti – Monumento all’immaginazione, installato a Piazza Copernico, nel quartiere Pigneto di Roma, fino al prossimo 30 giugno. Sette grandi remi sono poggiati su un muro e si levano verso il cielo, ovvero verso l’azzurro infinito del mare, dalla murata di una nave che fende le acque. Un’opera che capovolge la realtà visiva, come quella sociale, dove il diritto di fuga e la libertà di movimento vengono negati dall’innalzamento continuo di muri e reti, confini fisici e psichici, che trattengono i corpi e le menti di chi vuole attraversare liberamente l’Europa, e di chi, dall’altra parte e al contrario, pensa di fare di questo continente un baluardo identitario e sovrano da difendere dalle invasioni dei «barbari», e a questo scopo promuove una politica della paura, scatenando le peggiori passioni tristi.

Sette remi, come sette sono le stelle dei naviganti, e sette le virtù e i peccati, un numero «magico» per eccellenza, dove la magia altro non è che riattivazione dell’immaginazione critica contro il finto «realismo» che nega quel «possibile» che, come diceva Deleuze, non ci fa soffocare. Tutto è possibile, afferma invece quest’opera, che attraversa quella potenza tutta «moderna» che da Frankenhausen arriva fino a Non una di meno e ai movimenti migranti, passando per il Maggio parigino e il Settantasette italiano.

Tutto, e quindi anche disertare, come ci invita a fare sempre Dormino in una plaquette ispirata alla famosa canzone antimilitarista di Boris Vian, appena pubblicata da Vacuum Editions–Edizioni Sottovuoto, e stampata dall’Opificio della Rosa in 100 copie numerate. Disertare le politiche securitarie e le ossessioni identitarie che vanno a braccetto con le tanatopolitiche neoliberiste, ma disertare anche da sé stessi e dalla malsana e disgraziata idea di «autenticità» attorno alla quale, invece, tanto insisteva, non a caso, il famoso filosofo e nazi della Foresta Nera.

Disertare dai ruoli, come già fece negli anni Settanta quella forza lavoro giovanile che fuggiva dalle fabbriche del nord e come fecero, prima di loro, gli operai americani che a metà Ottocento scelsero la frontiera e una vita più libera dall’altra parte della costa. Disertare per mandare in frantumi gli specchi che vorrebbero rappresentarci, quando ogni principio di rappresentanza e rappresentazione dovrebbe essere stato spedito, da tempo, nel museo degli orrori. Infine, ci ricorda quest’opera, disertare è necessario per imparare a navigare, e quindi a cospirare. Che poi vuol dire imparare a respirare insieme.

 

Una versione più breve di questo articolo è uscita su il manifesto del 13 giugno 2018. 

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