«Figure» e «October»: La critica d’arte negli anni Ottanta

La resistenza del pensiero

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Filiberto Menna a una manifestazione.

In occasione del trentennale della scomparsa di Filiberto Menna la Fondazione a lui dedicata promuove il convegno Il nuovo che avanza per ricordarne il pensiero e la pratica critica. Con la stessa intenzione OperaViva Magazine inizia a pubblicare da oggi una serie di contributi dedicati al critico e pensatore salernitano. 

Un progetto comune lega, almeno idealmente, la rivista «Figure. Teoria e Critica dell’arte» fondata da Filiberto Menna nel 1982 e la rivista «October» fondata nel 1976 da Rosalind Krauss e Annette Michelson. Va, prima di tutto, chiarito che non ci sono mai stati contatti diretti tra le due redazioni, eppure, i due differenti progetti editoriali sono accomunati da una spontanea condivisione di problemi, indagini metodologiche, modelli e riferimenti. Con un leggero slittamento temporale, la rivista italiana, secondo la prospettiva consapevolmente europea degli autori che già precedentemente si erano misurati nello studio della linguistica russa, della psicoanalisi e della semiotica, e la rivista newyorchese, secondo un punto di vista specificamente statunitense maturato in quegli anni su questioni filosofiche avanzate dagli intellettuali francesi, hanno condiviso temi e rivendicazioni teoriche che vanno valutati non esclusivamente nei termini dell’aggiornamento degli studi accademici, ma piuttosto per gli effetti di apertura teorica e per i risvolti etico-culturali che hanno fatto scaturire. Il denominatore comune è stato senza alcun dubbio il pensiero francese alla cui scuola si è aggiornata tutta una classe di intellettuali italiani e da cui prende corpo la cosiddetta «French Theory», ricezione specificamente americana del pensiero francese (Lejeune et all, 2013).

Analogamente a quanto accade qui in Italia, oltreoceano il banco di prova della nuova proposta della storia e critica d’arte, di cui «October» è promotrice, è stata la rilettura delle sorti delle avanguardie artistiche del Novecento. Nel 1976 Menna avvia quella necessaria rilettura del Surrealismo e del suo «progetto ardito» (Trimarco, 1970) con un convegno monografico permanente presso l’ateneo di Salerno. Nello stesso anno Michelson rilegge  Ėjzenštejn e inaugura una poderosa riscrittura sulle pagine della rivista della storia delle avanguardie a cui seguiranno nel 1981 il saggio di Rosalind Krauss sulla «condizione fotografica del Surrealismo» e le voci di Leo Steinberg, di Hal Foster, di Benjamin Buchloh e di Leah Dickerman, per citare solo alcuni autori. Fin dal titolo, mutuato dal film di Eisenstein per celebrare «un momento del nostro secolo in cui la pratica rivoluzionaria e l’inchiesta teorica e l’innovazione artistica furono strette insieme in un modo esemplare e unico», dichiarano le fondatrici nell’inequivocabile primo editoriale (About October, Vol.1, Spring 1976), la rivista «October» programma l’avvio di un capillare processo di rinnovamento metodologico e di trasformazione radicale dell’indagine sull’arte in funzione anti-formalista. Tra gli octoberists, come ironicamente è stato di recente definito il gruppo redazionale sottolineandone la coesione «militare», figurano, oltre alle fondatrici, Hal Foster, Benjamin Bucloh, Yve Alain Bois, che affiancano nel 2004 Rosalind Krauss nella coraggiosa impresa della pubblicazione di una sorta di manuale multidimensionale di storia dell’arte contemporanea (Art since 1900) e, secondo alterne vicende, anche Rosalind Deutsche, Douglas Crimp, Hollis Frampton, Denis Hollier e David Joselit.

Menna a pochi anni di distanza, nel 1982, raduna un gruppo di studiosi: Rella, Tafuri, Boatto, Vattimo, Perniola, Argan, Trimarco, Mango, Cherubini e Lenza, tra gli altri, secondo l’idea che la riflessione sull’arte e sulla critica serva da trampolino di lancio per ritentare un’azione trasformativa del reale. Della Profezia di una società estetica (Menna, 1968), la cui tesi centrale accompagnerà, con limitate registrazioni di rotta, tutta la produzione del critico salernitano, vi sono tracce evidenti nel primo editoriale di «Figure». Nel testo, dopo l’analisi della condizione paradossalmente doppia e contraddittoria in cui si consuma la «morte della critica», Menna auspica con determinazione il superamento dell’empasse in cui la critica è costretta, grazie al ripensamento della sua funzione. É impossibile, egli sostiene, intendere tale funzione nei termini di un «tornare indietro e vagheggiare gli orti conclusi», riferendosi all’arroccamento di una critica esclusiva ed escludente che si fa pratica eremita. Né, tantomeno, per Menna è praticabile l’idea di abbandonarsi a quello che definisce «lassismo critico», esito scontato di quella dinamica culturale indicata da Lyotard nell’intervento al convegno di Montecatini del ’78, in occasione del quale, il teorico francese proclamava la possibilità di leggere tutto in qualsiasi maniera.

Gli octoberists negli stessi anni praticano una critica serrata alla tradizione formalista, indirizzata a riprogrammare la struttura stessa delle discipline della storia dell’arte e della critica d’arte, picconando vigorosamente ogni esito istituzionale di quanto affermato da Clement Greenberg, non solo, attraverso la riscrittura della storia dell’avanguardia, che con coerenza metteva in primo piano il processo di musealizzazione «forzata» dell’avanguardia europea nel MoMA di Alfred Barr, ma anche attraverso l’analisi dello statuto dell’opera e dei media linguistici. In particolare (e analogamente a quanto accade sulla rivista «Figure» nel doppio numero 10-11 del 1985) l’indagine sulla fotografia, la più moderna tra le arti, mette in scena un’alleanza sbalorditiva tra il dispositivo fotografico e il paradigma postmoderno (Owens, 1978; Crimp 1978, 1979). Ai temi teorici viene affiancata una costante indagine del presente attraverso dialoghi e conversazioni con gli artisti, attraverso la scelta di argomenti monografici assolutamente attuali come, per esempio, l’emergenza sanitaria -e culturale secondo la proposta radicale del curatore del volume D. Crimp- dell’AIDS («October», Vol. 43, Winter 1985).

Analogamente a quanto accadeva su «October», anche su «Figure» l’indagine di «critica della critica» sollecitata da Menna assumeva la forma dello studio dell’avanguardia storica, fertile territorio in cui pensare retrospettivamente il ruolo della critica nel rapporto pulsante con il progetto moderno delle arti, non solo nei termini di una continua e rinnovata storicizzazione dell’esperienza artistica, ma soprattutto nell’analisi delle dinamiche di significazione del contemporaneo. Nel saggio inaugurale di «Figure», Il progetto moderno dell’arte e della critica pubblicato nel 1982, per esempio, Menna analizza le motivazioni di quella «corrosione» del nesso artistico-estetico e afferma che, proprio nello scollamento tra artistico ed estetico, il postmoderno agisce per liquidare il programma di trasformazione concreta dell’individuale e del collettivo, cioè, l’insegna moderna per eccellenza. L’estetizzazione diffusa della condizione attuale, sotto gli occhi di tutti, sarebbe la prova del fallimento del progetto moderno piuttosto che la sua affermazione. La critica radicale della rivista «October», dal canto suo, è stata indirizzata a recuperare proprio quel nesso tra artistico ed estetico, sia delle avanguardie sia dell’arte attuale, per dirla appunto con le parole di Menna, che la cultura statunitense, e in particolare la posizione formalista greenberghiana, aveva progressivamente rimosso. Entrambe le riviste hanno proposto un’analisi sempre doppia, di un «dentro» e di un «fuori» dell’opera e dell’istituzione, i cui confini, sia per gli octoberists sia per gli editorialisti di «Figure», per necessità devono essere attraversati. Infine, i progetti teorici delle due riviste condividono senza dubbio una matrice che va rintracciata nella condizione postmoderna.

La postmodernità di cui, su entrambe le riviste, si è lungamente discusso è da intendersi -of resistance- refrattaria all’idea di un presunto pluralismo che nasconde svolte conservatrici, secondo la prospettiva di Hal Foster e Benjamin Buchloh, e problematica, secondo la prospettiva di Menna. Infatti Menna, avvicinando il concetto di nuovo a quello di ripetizione, afferma che il senso del prefisso post di postmoderno indica un processo di anamnesi o anamorfosi che elabora l’ «oblio iniziale», quell’atto originario di rimozione da cui parte anche Douglas Crimp per le sue analisi del sistema espositivo (Crimp, 1980). Ciò che maggiormente distingue, però, la proposta critica di Menna sul postmoderno da quelle degli autori d’oltreoceano, è la volontà – salde le radici nel pensiero europeo – di alimentare quelle discontinuità e opacità (il discorso e il contro-discorso dell’arte e le loro inconciliabili divergenze) che permangono come alimento della rinnovata progettualità del Moderno.

Riferimenti bibliografici

About October, in «October», Vol.1, Spring 1976, pp. 3-5.
D. Crimp, On the Museum’s Ruins, in «October», Vol. 13, Summer 1980, pp. 41-57.
D. Crimp, Pictures, in «October», Vol. 8, Spring 1979, pp. 79-88.
H. Foster et all, Art since 1900, Modernism, Antimodernism, Postmodernism, Thames & Hudson, 2004
A. Lejeune, O. Mignon, R. Pirenne, French Theory and American Art, Sternberg Press, 2013
F. Menna, Il progetto moderno dell’arte e della critica, in «Figure», 1982
F. Menna, Profezia di una società estetica, Lerici, 1968
O. Owens, Photography en abyme, in «October», Vol. 5, Summer 1978, pp.73-88

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