Molto più che un karaoke filosofico

L'arte pubblica di Bert Theis

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Bert Theis, sola Art Center - Progetto collettivo a lungo termine, Milano 2001.

Viviamo in un’epoca di privatizzazione di quasi ogni cosa, dall’educazione alla previdenza sociale fino alle istituzioni culturali. L’aspetto più sconvolgente di questa tendenza è probabilmente la privatizzazione degli spazi urbani. Nel processo di modernizzazione della città, sempre più spazi pubblici vengono commercializzati e convertiti in luoghi semi-pubblici, meglio attrezzati ma essenzialmente privatizzati, per non parlare della crescente gentrification dei centri cittadini. E nel frattempo, le condizioni naturali del nostro ambiente vitale divengono via via più artificiali, come esemplificato da nuove tecnologie quali l’aria condizionata, i pannelli digitali, ecc.

Questa tendenza non è in atto unicamente nell’Occidente più sviluppato. Si dispiega a velocità persino maggiore nelle economie in via di sviluppo, come la Cina e l’Asia sudorientale. Nel processo di creazione di un nuovo mondo per il nuovo millennio – la nuova Europa nell’Occidente, e altre forme di strutture regionali in altre parti del mondo – una tendenza del genere si è fatta una vera e propria precondizione. In poche parole, questa è una tendenza globale. Anche l’arte contemporanea è al giorno d’oggi un fenomeno globale. Si afferma ovunque. E al contempo, gli artisti di oggi non solo operano globalmente, ma si trovano ad affrontare naturalmente l’altrettanto globalizzato compito posto loro dalle nuove condizioni urbane. Bert Theis è, fra loro, uno dei più sensibili a questo tema. Bert ha costruito il proprio sistema di pensiero ed azione artistica interamente sull’indagine del rapporto fra arte e spazio pubblico, fra «oggetto artistico» come proposta personale allo spazio pubblico, e intervento del pubblico tramite la partecipazione attiva alla costruzione del significato finale dell’opera. Al contempo, la proposta di Bert Theis è sempre stata specifica – site specific, e, nelle sue parole, «audience specific» – sviluppando un’immagine complessiva della posizione dell’arte pubblica nello spazio urbano.

Mentre i nostri spazi urbani vengono gradualmente privatizzati o semiprivatizzati per l’introduzione tanto del capitale globale quanto delle nuove tecnologie, Bert Theis cerca di proporre alternative per controbilanciare tale tendenza, con ciò rivitalizzando la stessa vita urbana. In Europa, sempre più sono le città che si restringono, si suburbanizzano. La conservazione e promozione del dinamismo e della vitalità del centro cittadino diventano una sfida urgente per la sopravvivenza della società urbana. Ma, al contempo, è fondamentale mantenere e sviluppare un ambiente verde. Di fronte a tale imperativo, apparentemente contraddittorio, Bert Theis e i suoi colleghi si sono organizzati in un istituto di ricerca, «OUT – Office for Urban Transformation», impegnandosi a cercare soluzioni di «urbanistica sostenibile».

Hanno ideato la nozione di «Telecity?», tesa a sostituire l’immagine corrente della città come «giungla di cemento» con una più umana e innovativa «giungla digitale». Cosa ancora più significativa, hanno elaborato, oltre a nuove tecnologie e prospettive ecologiche, nuove forme amministrative – nuove comunità e autogoverno – per rendere la nuova vita urbana realmente rilevante, e perciò sostenibile. Questo suggerisce una vera e propria dimensione politica, che può rivelarsi fonte di ispirazione nella costruzione della nuova società europea. E non sorprende che Bert Theis, al momento, stia lavorando a un progetto celebrativo dell’Europa – European Pentagon.

Come già accennato, la questione dell’urbanesimo sostenibile ha importanza globale. Lavorare nel mondo dell’arte significa avere a che fare con un business su scala mondiale. Bert Theis ha ideato progetti di notevole efficacia anche al di fuori dell’Europa. In Corea, per la Biennale di Gwangju del 2002, in risposta al tema «Pause», ha realizzato «Russell-Prosthesis 01», uno spazio aperto e simile a una spiaggia con panchine e piante tropicali, per permettere al pubblico di godersi momenti di «riposo» negli interstizi fra un «junk space» e l’altro. È un luogo di relax, con un certo senso dello humour e una sorta di ironia dovuta alla volontaria irriverenza nel mescolare una struttura solida e una posizione sbagliata, nell’ibridare vegetazione vera e artificiale.

Nel contesto di città orientali sottoposte a espansioni ed intensificazioni esplosive e senza precedenti, la sua proposta segna un gesto radicale quanto necessario1 per ricordare l’importanza della riflessione critica – come ricorda lo stesso Theis, l’idea di Bertrand Russell di fare sforzi per ottenere una vita d’ozio è indubbiamente una virtù dimenticata. Quanto di ciò che pensiamo sulla vita può includere una cosa strana come l’ozio? Ciononostante, come «Pause», l’ozio rappresenta una vera resistenza alla logica della frenetica spirale del capitalismo globale, che è la vera e propria forza motrice dell’eccessiva espansione urbana del continente asiatico.

Shenzhen è la città-simbolo del boom cinese. È stata inventata a partire da un minuscolo paesino di frontiera, e trasformata nel giro di vent’anni in una metropoli da sette milioni di abitanti. È anche un laboratorio dell’urbanesimo cinese, che oggi sta accorpando gran parte del paese in vasti conglomerati urbani. Edifici e infrastrutture moderni, fortemente pragmatici, vengono a prendere il posto di forme urbane tradizionali, mentre l’ambiente è sempre più controllato artificialmente – emblematico è il caso dei condizionatori, onnipresenti – al prezzo di un rapido degrado delle condizioni naturali. Shenzhen incarna queste contraddizioni dell’urbanizzazione.

Nel 2003, in occasione della quinta edizione della Shenzhen Public Art Exhibition, dal titolo «The Fifth System, public art in the age of post-planning», Bert Theis ha proposto un nuovo progetto intitolato «Growing House», in risposta a tale situazione. Ha passato settimane sul posto, a studiare le condizioni climatiche locali e la storia dell’architettura cinese. Le «case annidate»2, antica forma di abitazione, sposavano perfettamente la vita umana all’evoluzione naturale; traendo ispirazione da quell’ingegnoso progetto, Bert Theis ha costruito una «casa in crescita», nel mezzo di una serie di palme al centro di un parco pubblico. Una piattaforma a più livelli, dipinta di bianco, protetta da tettoie di tela, offre uno spazio fresco per gli incontri degli abitanti della zona, permettendo loro di riscoprire la propria città da un punto di vista completamente nuovo.

Ancora più significativo è il fatto che la struttura stessa è concepita per crescere, perlomeno concettualmente, insieme all’ambiente naturale, le palme a cui è assicurata. Il risultato, oltre ad essere un punto di incontro, osservazione, riflessione e dibattito pubblico, è una piattaforma per sperimentare direttamente l’armonia fra la città creata dagli uomini e il suo contesto naturale. Si tratta indubbiamente di un intervento particolarmente efficace nel contesto del «feticismo» per l’efficienza economica che oggi è bandiera dell’espansione urbana cinese. Anche qui, la domanda critica che ci si pone è come vivere «momenti di ozio» nell’era della globalizzazione della vita urbana.

Le opere di Bert Theis spesso assumono la consistenza della piattaforma. Sono dipinte di bianco, si espandono negli spazi pubblici accogliendo a braccia aperte gli interventi del pubblico. Sono fisiche. Sono il risultato di occupazioni minuziosamente pianificate dei territori urbani, con strategie minimaliste e trasformazioni persino immateriali delle condizioni date. Sono discrete, schiettamente anti-spettacolari. Offrono, di volta in volta, le circostanze migliori per eventi spettacolari che vanno dalla meditazione ai giochi, dai balli ai concerti ad ogni genere di attività quotidiana. Ciononostante, tali attività non sono mai state pianificate od organizzate dall’artista. Al contrario, sono improvvisate e realizzate dal pubblico, con passione ed ispirazioni spontanee.

Ciò è particolarmente significativo perché incarna perfettamente la logica dell’auto-organizzazione e dell’autogoverno, elemento decisivo nella creazione di società urbane sostenibili nonché centro del concetto artistico di Bert Theis. Egli ama definire le sue opere «filosofiche». Sono sistematicamente informate dal sapere filosofico, e guidano il pubblico a riflettere «filosoficamente» sulla vita. Nei suoi commenti al suo progetto «Philosophical Platform», per Skulpture Projects a Münster, nel 1997, Bert Theis osserva:

«Il mio lavoro è stato, per quanto ne so, la prima piattaforma filosofica al mondo. Ci sono state piattaforme politiche, ma filosofiche, mai. Dal punto di vista filosofico, deve molto a Wittgenstein ed al pragmatismo americano. La sua qualità principale era il suo essere vuota. Non era la piattaforma dei «filosofi», ma un dispositivo aperto che permettesse a ognuno di sviluppare il proprio concetto ed interpretarlo a modo suo. È certo molto più che un karaoke filosofico.»3

Tuttavia, le piattaforme di Bert Theis, così come ogni altro suo lavoro, per spirituale che possa essere, sono radicalmente aperte alla partecipazione del pubblico. Implicano un progetto chiaramente sociale, una sorta di democrazia diretta della vita fisica e spirituale. Permettono di immaginare, e persino di realizzare una forma nuova di vita urbana, spiccatamente umana, in armonia con la natura. Sono fondamentalmente politiche.

Con in mente un progetto politico di questo genere, Bert Theis si spinge sempre più a fondo nel mondo della politica in prima persona. Al momento lavora a una «commessa ufficiale» per celebrare la presidenza lussemburghese dell’Unione Europea. Per definizione, una commessa del genere non può che essere un paradosso per un artista dalla mente libera, specialmente per qualcuno come Bert Theis che è essenzialmente critico nei confronti della politica reale. Come può una celebrazione andare a braccetto con la critica? Tuttavia, Bert Theis si è reso conto che poteva essere un’occasione perfetta per esprimere tale critica di fronte all’imperante «political correctness» del processo di costruzione dell’Unione Europea.

Nell’attuale clima geopolitico, quasi tutti sono concordi nell’affermare che il compito più urgente per la costruzione dell’Unione Europea è lo sviluppo di un solito sistema di difesa, di confini sotto stretto controllo e di un dispositivo di sorveglianza per la sicurezza interna. L’ossessione per la sicurezza sta dando vita a una vera e propria atmosfera di paranoia per il continente. «Better safe than sorry»4 è ormai il motto di ogni politica sociale, militare, economica e culturale. E a stento si riescono a sentire voci di dissenso. È in opposizione a questa paranoia che Bert Theis ha deciso di trasformare il suo progetto in un luogo di messa in discussione del politically correct. Intitolando il proprio progetto «European Pentagon (Safe & Sorry Pavilion)», ha costruito una struttura pentagonale per «promuovere» la «filosofia della sicurezza». Tuttavia, accorciando il motto in un semplice «Safe & Sorry», la sua appropriazione dell’ideologia è in realtà una critica decostruzionista al significato stesso della frase. Riuscendo a distinguere le parole solo dall’interno del padiglione, il pubblico è incoraggiato a farsi delle domande sul motto rovesciato: conviene essere «Safe» o «Sorry»?L’Europa deve essere l’Utopia della buona vita sicura?

Note

Note
1Cfr. l’intervento in Bert Theis nel catalogo «Project 1, Pause, conception», Gwangju Biennale 2002, p. 248
2Cfr. «The Fifth System, public art in the age of post-planning», the 5th Shenzhen International Public Art Exhibition, Hexianning Art Museum, OCT, Shenzhen, 2003. pp. 174-175
3Bert Theis, « Pavillons et Installations en Plein Air », appunti.
4«Non si è mai troppo al sicuro» [NdT].

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