Non di solo pane

Laboratorio introduttivo di permacoltura audio/video

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Panighiri – Mandriá (Ikaria) – foto di Maria H. Bertino (archivio MMAV)

Mentre il paradigma della lingua scritta crolla fagocitato dal nuovo, virtuale, il concetto stesso di memoria sta attraversando un periodo di metamorfosi. La nuova forma della memoria digitale appare ambivalente: da un lato offre la possibilità di accentrare grandi quantità di informazioni, da un altro di perderle inciampando in un cavo, nel cadere di un hard disk, nel subire un attacco informatico, un virus o semplicemente perse in un caotico eccesso di rumore di fondo.

Se qualcosa turba la nostra quiete, quando non è salutare il risveglio, necessariamente l’impressione di questa cosa viene resa consistente col sogno che, eliminando l’orrore dell’inconsistenza, ridefinisce al volo le regole del gioco per rendere ragionevole ciò che si pone come scandalo, lacerazione, conflitto. Quanto più alto il turbamento e quanto meno efficace il teatro onirico, tanto maggiore il rischio di risveglio. 

Contemporaneamente i media offrono una quantità di informazioni eterogenee fra le quali ciascuno potrà estrapolare una propria visione del mondo aggiornata, dall’altro i media di informazione condividono un meta-racconto comune, attento a non danneggiare gli assetti di potere, per costruire una visione del mondo stereotipata, riduzionista e asservita.

Tuttavia, posto che, per certi aspetti non v’è sostanziale soluzione di continuità tra lo stato onirico di chi dorme e di chi veglia, ma solo differenti (?) regole di consistenza (socialmente ammesse nevero…), sembra essere indispensabile che il «fluido» onirico in cui noi persone umane siamo immerse si mantenga in uno stato tale da consentire la quiete, e produca pochi risvegli, in considerazione  delle conseguenze che questi risvegli possono provocare… 

L’eccesso di offerta mediatica ha implicato la svalutazione e l’impoverimento dei contenuti in favore di forme sempre più attrattive e de-responsabilizzate.

Il sogno condiviso, quindi, ci porta ad agire di concerto e a validare la consistenza della nostra biografia e dei nostri desideri con l’immagine che di noi viene costruita nel sogno di tutti, anche e soprattutto degli sconosciuti. Le associazioni di parole, suoni e immagini sono da sempre gli strumenti di guida di un coro polifonico di sognatori. Le «cose» dello sciamano, vengono date come metafore verso realtà indivise, le cose del ciarlatano come sentieri obbligati verso menzogne intenzionali, con tutto quello che sta (e ci sta…) nel mezzo tra questi due operatori. Sciamani e ciarlatani, nell’opinione di chi scrive, sembrano particolarmente indaffarati ai tempi nostri. E guarda caso, sono molto gelosi delle loro «cose». Queste «cose» che valore hanno? 

In questo contesto il patrimonio della memoria collettiva si frantuma e questi frammenti rimangono irrisolti, slegati, indigeriti. Qualsiasi segnale di allarme che segnala vere nuove sfide che richiedono un’attenta discussione pubblica viene seppellito e superato astenendosi dall’approfondire e viceversa marchiando con neologismi per allontanarsene ed esserne immuni.

Il solo catturare lo sguardo di un ragionevole numero di soggetti, al giorno d’oggi, ha «di per sé» un valore monetario quantificabile.  Ovviamente. E ancora prima che l’incantamento operi. Poi, naturalmente, la magia esercita il suo fascino, e si ottengono ulteriori vantaggi, anch’essi spesso quantificabili. 

Le connessioni, l’emergere del senso, la discussione dialettica che un tempo generava una percezione collettiva unitaria quindi coesiva, lascia il posto ai sensazionalismi, alle estremizzazioni, al caos.

Queste «cose» magiche e le loro fabbriche sono quindi merci in vendita. Queste «cose» magiche e le loro fabbriche sono un altro chiaro esempio di beni comuni recintati per creare scarsità ove c’era abbondanza, per creare bisogni da soddisfare, dove c’erano produzione e autoconsumo. I sogni non costano molto, in natura… 

La funzione della memoria collettiva capace di elaborare e sedimentare narrazioni univoche (i miti) dunque si perde e con lei la capacità di condividere una visione del futuro. Che appare nero, privo di sbocchi o del tutto assente (da un colloquio con teen-ager in un centro sociale).

La vicenda della produzione di cose raccontate «mirabili» ha, come al solito, visto compiere il doppio ciclo inverso della scarsità, attribuzione di un prezzo a ciò che non l’aveva, e successivo abbattimento del costo di produzione della merce prodotta in grandi quantità. Raccontare, mostrare, indicare per immagini e suoni è possibile per tutti, a costi ridicoli. E i racconti possono essere prodotti a piacere da chiunque, con buona pace dello sciamano e del ciarlatano. 

La ricerca artistica viene interpretata con l’immersione negli ambiti più intimi delle tecnologie (hardware, software, installativa) per ricercare la natura innovativa delle nuove geometrie paradigmatiche e interpretarla in forma praticabile da gruppi, con la costruzione di strumenti di conoscenza.

Scopo del gioco è apprendere (i grandi e i piccini) a scrivere i racconti che tanto amiamo scambiarci senza dovere pagare dazio allo sciamano o, peggio, al ciarlatano. 

Le sperimentazioni in corso sulle tecnologie dell’archiviazione visiva nascono dall’esigenza sentita fra un gruppo di tecno-artisti, di generare nuove modalità di costruzione dell’immaginario collettivo a partire dall’osservazione della realtà attraverso le tecnologie (neo-neorealismo). Nuovi metodi per comprendere il nuovo reale. Ovvero un’indagine in cui si ribalta l’assunto del possesso del prodotto artistico e si promuove l’agire comune come nuova pratica per la comprensione del reale e per afferire a un patrimonio di memoria condivisa e in continua evoluzione (living memory).

Ci piace sognare opere alle quali non può essere applicato un cartellino con il prezzo, né essere battute all’asta, ma che renda sciocco comprare al mercato della scarsità ciò che può essere gioiosamente prodotto nei nostri orti e terreni.  

Sono proposte propulsive verso la ricostruzione del «senso» attraverso un lavoro collettivo, partecipato. Le attività tipicamente umane di selezione, descrizione, giudizio e di associazione (nessi) fra gli elementi (le unità semantiche che compongono gli archivi visivi) sono valorizzate e sedimentate nell’archivio, agibili, attraverso una stessa piattaforma, contemporaneamente da intere comunità che possono collaborare per costruire una visione comune e mediata attraverso sguardi molteplici.

Ancora una volta, si tocca con mano una realtà nota da tempo.
Parlu ccu viatri ca diciti sempri:
“Chiamati patri a cu vi duna pani”
iu vi dicu ca nunn’è veru nenti,
ma siti viàtri ca cu li vostri manu,
chi dati pani, cumpanaggiu e vinu.
Ccu lu travagghiu di li vostri vrazza,
campanu iddi ca su’ n’autra razza.
Un sulu patri avemu
ed è lu suli!
Cu li raggi e lu so caluri
feconda la terra, nostra matri naturali.
Tutti l’autri ‘un su’ patri,
ma su’ patruna
e lu patruni è un mali vecchiu . . .
Ci vonnu chiddi ca pigghianu pisci di lu mari;
ci vonnu chiddi chi aisanu li casi;
ci vonnu chiddi chi allevanu animali,
ma lu patruni no!
Chiddu è suvecchiu. 

Il linguaggio visivo, libero dai formalismi deterministici delle lingue scritte, si presta per dare spazio alla creatività e all’invenzione autoriale da un lato e alla sensibilità, curiosità e intelligenza di chi consulta dall’altro, cercando di fondere il più possibile i due atteggiamenti.

Ammazziamo questi patriarchi detentori del sogno, insieme a quelli che ci centellinano il pane, nel più sano dei modi: rendendoli superflui in primo luogo a noi stessi. Per questa ragione un’opera priva di prezzo che vorremmo condividere è quello che potremmo provvisoriamente chiamare: laboratorio introduttivo di permacoltura audio/video. 

La partecipazione attiva non rimane un fatto in sé, esaurito nello stesso atto celebrativo, ma viene sedimentata e considerata da una comunità, potenziale portatrice di senso e gravida di possibili effetti.

La saggezza non verrà mai.

da Casamatta > testo a due voci di Manlio Garavaglia e Stefano Roveda; immagine di copertina di Maria Hélène Bertino; postilla di Alessandro Gagliardo; si ringrazia Chiara De Dominicis

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