Pace

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Claire Fontaine, STOP (2023).

Di cosa è fatta la nostra pace?

È un’esperienza solitaria?

Dipende dai nostri rapporti con gli altri? È un equilibrio dinamico, una coesistenza fragile, un’interazione mutualmente benefica e utile che deve rispettare limiti definiti per non diventare nociva, come una medicina che bisogna amministrare in dosi precise?

Ci muoviamo con circospezione per non farci schiacciare dall’autorità delle persone con cui siamo in debito affettivo o dalla vendetta che chi ha potere nella situazione politica attuale potrebbe infliggerci?

Dove va la nostra dignità quando ci divertiamo o quando lavoriamo (per poi poterci divertire o per pagare le bollette)?

La nostra sopravvivenza è elegante, è intelligente?

Possiamo permetterci di farci degli amici? Di essere attraenti per qualcuno o di essere attratti da qualcuno?

Che cosa implica questa pace cui sacrifichiamo tutto?

È una buona soluzione? È paralizzante, mutilante? È il minore dei mali?

Possiamo permetterci, da questa posizione di pace, di comprendere realmente quello che accade attorno a noi o abbiamo bisogno di chiuderci a riccio per proteggere noi stessi (e quelli che amiamo)?

Quale disperazione per l’attuale situazione politica ed economica è legittima e sana e quale è invece solo il frutto di una condizione depressiva di cui siamo responsabili e che dovremmo curare? Dove è il limite? Se siamo un maschio eterosessuale possiamo ascoltare una donna che ci parla di queste cose senza provare il desiderio di ucciderla? Se siamo una donna, possiamo correre il rischio di dire a un uomo che il suo equilibrio mentale è instabile senza che questa sia l’ultima volta che abbiamo avuto ragione? Il capitalismo è una forma di violenza perché nasconde la realtà e la sostituisce con una finzione commerciale? Ha cambiato il sapore del cibo, l’odore delle cose, l’aspetto e l’esperienza della natura? È il capitalismo che ha distrutto le città come luoghi in cui la vita creativa era possibile?

Il denaro interferisce proprio con tutte le nostre percezioni? Con il nostro corpo? L’assenza di denaro è assenza di pace? E se così è quanto vale la nostra pace? Possiamo darle un prezzo? Siamo noi che dobbiamo pagare per averla? Possiamo veramente chiamare ‘pace’ qualcosa che può così facilmente schizzare fuori dal nostro controllo? Qualcosa che è così necessario ma così fragile? Avere questa esperienza della pace è già la conseguenza di una guerra silente? La paura è un’inevitabile compagna o dovremmo abbandonarla per poter veramente cominciare a pensare?

Questo testo è per caso già inaccettabile perché turba la nostra pace? Dovremmo fissare una dieta per l’anima? Guardare la merce e le immagini commerciali ci fa bene? È meglio per i nostri corpi e le nostre anime piuttosto dell’arte o delle notizie sull’attualità? Cosa fa bene leggere a noi e ai nostri figli? Ci fa bene conoscere la storia o è troppo angosciante? Come parlare di sionismo e antisemitismo a tavola, in famiglia? Come parlare di razzismo? O di patriarcato? O di repressione sessuale e ipocrisia sessuale? O del veleno del politically correct? Del modo in cui usiamo le informazioni non per investigare i processi di creazione di visibilità e di invisibilità ma per costruirci una posizione?

Perché crediamo a quello che ci dicono e non mettiamo in discussione la nostra posizione di ricevitori di informazioni? Perché non trasformiamo le nostre menti in armi di distruzione massiccia delle camice di forza in cui sono state ficcate? Perché accettiamo la manipolazione come una fatalità? Perché viviamo con pubblicità mirate e telefoni che origliano? E se tutto questo fosse più nocivo del vaccino contro il Covid? Perché non accettiamo la disinformazione come una condizione umana permanente e ne parliamo per stabilire la realtà di ciascuno e i dubbi reciproci in modo che nessuno venga risucchiato dalla spirale della paranoia?

Una poesia è vera? Un’opera d’arte è vera? O sta solo nella nostra testa, precisamente nel posto di cui dobbiamo diffidare se vogliamo proteggere la nostra pace?

Berlino, Dicembre 2023

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