Panzieri e Krahl

Prospettive di lettura della produzione ad alta intensità tecnologica

Hans-Juergen Krahl
Hans-Jürgen Krahl parla agli studenti a Francoforte - (AP Photo/Peter Hillebrecht).

La capacità degli uomini di astrarre dalla natura cui pure appartengono in quanto individui corporei è la capacità dell’emancipazione.
H-J Krahl
 

L’ipotesi che guida questo testo è che si possano individuare alcune linee di continuità tra il pensiero di Raniero Panzieri e quello di Hans-Jürgen Krahl. La riflessione teorico-politica più significativa di entrambi gli autori ruota attorno alla problematicità del capitalismo a forte base tecnologica, nell’arco di tempo che attraversa gli anni Sessanta del Novecento. Nel caso di Panzieri, (e del primo operaismo italiano che ha nella rivista Quaderni rossi il suo punto di riferimento) la riflessione teorica parte dall’osservazione delle imponenti ristrutturazioni del capitalismo italiano dei primi anni Sessanta. Krahl invece constaterà, alla fine del medesimo decennio, la maturazione di questo processo di trasformazione tecnologica (sia dal lato del capitale che dal lato della soggettività antagonista) e potrà quindi mettere in luce gli effetti e le modificazioni subite dalla società nello stato della sua maturata trasformazione macchinica. Panzieri e Krahl, quindi, sono due interpreti del capitalismo e dei suoi esiti a noi più vicini, primo su tutti la trasformazione della composizione organica del capitale.

Da un punto di vista teorico, i punti comuni ai due autori vanno rintracciati nel costante riferimento, esplicito o implicito, all’eredità della scuola di Francoforte e del suo universo culturale di cui Panzieri infatti è stato considerato, uno degli “ambasciatori”1in Italia. Nel riferirsi a Pollock e alla scuola di Francoforte il fondatore dei Quaderni rossi ha saputo unire quella riflessione con le originali istanze dell’operaismo italiano. Il richiamo al grande intellettuale tedesco va considerato un aspetto di indubbio rilievo in quanto le analisi di quest’ultimo devono essere intese come “il fondamentale elemento di novità” nonché uno dei principali punti comuni delle riflessioni2 di Horkheimer, Adorno e Marcuse3.

Anche grazie a queste letture francofortesi, Panzieri, nel mezzo della fase di trasformazione del capitalismo (in particolare del neocapitalismo italiano, ma non solo) ribadisce l’esigenza della comprensione delle determinazioni produttive, aderendo ad un metodo fortemente ispirato a Marx. Il richiamo preliminare e obbligato è al legame di Panzieri con Galvano Della Volpe. Occorre infatti ricordare che quest’ultimo, richiamerà l’attenzione sul metodo marxiano a partire dalla Introduzione ai Grundrisse del 18574. Proprio su questo punto sembra si possa trovare una zona di intersezione tra la linea dell’operaismo panzieriano e quella di Krahl5. A partire dalla lezione della scuola di Francoforte, Krahl, tra il 1969 e il 1970, circoscrive con grande lucidità un elemento di indubbia importanza per la rilettura della società capitalistica del XX secolo. In particolare egli individua la specificità di questa fase del capitalismo nella forte e problematica presenza delle macchine da intendersi come “strumenti di dominio e non di liberazione”6. Infatti la società che ha di fronte Krahl è a pieno titolo una società tecnologicamente determinata in cui “la realizzazione del dominio politico passa […] per l’identità, sempre più immediata, che esso possiede con il potere economico di disporre dell’apparato produttivo ormai permeato dalla tecnica”7. A partire da questo imprescindibile contesto egli ritiene fondamentale mantenere vigili quelle categorie di pensiero, ossia l’attitudine a forme di “disposizione critica”8. È attraverso queste ultime che si può comprendere l’impossibilità storica di applicare correttivi allo stato di cose vigente. La prospettiva teorico-politica, per cui è possibile riequilibrare le storture del modello sociale vigente attraverso semplici modifiche e correttivi, non è contemplata da Krahl. La condizione del capitalismo tecnologico tardo novecentesco richiede necessariamente la fine di ogni illusione riformista e l’approdo ad una visione pienamente in grado di assumersi la responsabilità di una rottura rivoluzionaria. Si tratta di una critica al riformismo politico e, allo stesso tempo, alla utopia habermasiana dell’agire comunicativo. In particolare, l’elemento rivelatore di questo pericoloso stato di cose è la colonizzazione linguistica prodotta dalla “terminologia scientifica”9. Essa attraverso il suo prevalere comunicativo sta ottenendo il risultato, ideologico e alienante, della mistificazione e dell’occultamento della “conoscenza concreta dei bisogni”10. Già gli operaisti, attraverso il metodo della conricerca, avevano cercato di circoscrivere i bisogni dei lavoratori di fronte alle modificazioni delle loro condizioni di lavoro. Esse sono il frutto della sempre più massiccia presenza in fabbrica dell’elemento tecnologico quale baricentro produttivo e di potere, del capitale sul lavoro. Non basta; è possibile individuare un ulteriore elemento di analisi di queste trasformazioni nel secondo numero di Quaderni rossi del 1962, nel testo di Tronti La fabbrica e la società11. Lì si sottolineava che la fabbrica, attraverso i mutamenti tecnologici appena descritti e in quel preciso momento storico, stava irrompendo nella società, invadendo “l’intera rete dei rapporti sociali”12. Per Panzieri queste trasformazioni investono la figura dell’operaio producendone, tra l’altro, la dequalificazione lavorativa. Per Krahl le medesime trasformazioni sono la minaccia del declassamento sociale che colpisce gli studenti e il ceto medio. Si tratta di un processo in espansione che, con il trascorrere degli anni, ha determinato una ulteriore accelerazione nel dominio del capitale sul lavoro. Oltre alla vicinanza tra Panzieri e Krahl, occorre segnalare l’esistenza di punti di divergenza che sono, dall’angolatura qui adottata, di ordine storico-teorica. Per Panzieri, che analizza l’Italia industriale dei primi anni Sessanta, le mobilitazioni operaie possono ancora lasciare intendere che esista una condizione a loro favorevole, o per usare le parole operaiste, che vi sia una situazione carica di possibilità politiche. Per Krahl, che scrive alla fine di quel decennio, il quadro politico-sociale delle lotte lascia il posto al fatto che i criteri di socializzazione proletaria “sono stati distrutti”13.

Detto questo, occorre segnalare che, nel suo testo Lotte operaie nello sviluppo capitalistico (1962) Panzieri insiste, ad esempio, nell’analizzare la logica di trasformazione, dal punto di vista della produzione, della composizione organica del capitale di fronte all’accelerazione macchinica di quegli anni. Panzieri giunge così a stabilire che le “rivendicazioni poste dagli operai, dalla classe operaia, tendono a colpire, a sottolineare quello che è il momento caratteristico del rapporto dell’operaio, della classe operaia di fronte al capitale in quella determinata situazione, cioè tendono a porre in evidenza quelli che sono gli specifici elementi del rapporto di subordinazione come tale della classe operaia al capitale, davanti al capitale”14. Gli elementi specifici, ai quali si riferisce Panzieri, riguardano, in sintesi, gli effetti delle importanti trasformazioni neocapitalistiche sulle condizioni di esistenza dei lavoratori salariati.

Se osservati da questa angolatura, l’oggetto d’analisi e il ragionamento espresso da Krahl divengono ancora più interessanti. Infatti, da un lato sembra esservi qui la possibilità di riprendere il discorso interrotto da Panzieri con la sua morte (avvenuta repentinamente il 9 ottobre 1964), dall’altro si apre l’opportunità di ripensare teoricamente i limiti di alcune posizioni politiche degli anni Sessanta. Rispetto a questo, il discorso di Krahl, pronunciato cinque/sei anni dopo il testo di Panzieri, contiene elementi assai indicativi delle lacune storiche di comprensione che l’analisi operaista ha in parte evidenziato. Per Krahl infatti, nel “criticare le strutture antidemocratiche di dominio che esistono in fabbrica” si è posto in secondo piano “quello che interessa alle masse” eludendo la “realtà dei bisogni esistenti”15. Le considerazioni dell’allievo di Adorno permettono così di riflettere a posteriori su alcuni snodi determinanti dell’operaismo, in primis panzieriano. Ad esempio il fondamentale sguardo alle condizioni materiali della composizione organica del capitale16 avrebbe dovuto tradurre le analisi contenute in La fabbrica e la società in azione teorico-politica. Si può forse affermare che, rispetto a quella contingenza storica, a Panzieri è mancato il tempo per compiere questo salto17. Il senso di quel passaggio mancato si sarebbe dovuto costruire nella delicata azione di ampliamento nell’analisi del neocapitalismo oltre i cancelli dei comparti produttivi, ma a partire da ciò che all’interno della fabbrica stava succedendo. Non c’era una fabbrica da analizzare senza la società, ma nemmeno una società che potesse essere letta a prescindere dal suo motore economico che, com’è noto, si trova, marxianamente, nel luogo di estrazione del plusvalore. L’effetto di questa nuova stagione sociale è l’affermazione del capitalismo macchinico-tecnologico, ossia di un capitalismo che ha modificato la sua composizione organica e che sta utilizzando il lavoro delle nuove tecnologie contro i lavoratori. Perciò, “in altre parole: se il lavoro intellettuale è sempre più incorporato al lavoro produttivo, allora il proletariato industriale, l’esercito degli operai meccanici che svolgono un lavoro fisico, non può più sviluppare da sé la totalità della coscienza di classe proletaria”18.

Il dominio che si genera comprime la ricchezza della vita sociale nel perimetro della dimensione quantificabile, misurabile e perciò sottoponibile alla forza capitalistica. La razionalità macchinico-tecnologica è puntata contro il lavoratore al fine della sempre indispensabile ricerca del plusvalore. Non siamo quindi di fronte ad un problema di uso distorto del progresso insito in ogni ritrovato tecnologico. Siamo piuttosto di fronte ad una forma di espressione del potere che già Marx aveva colto nel capitolo su Macchine e grande industria nel primo libro del Capitale. “Le nuove «basi tecniche» via via raggiunte nella produzione costituiscono per il capitalismo nuove possibilità di consolidamento del suo potere”19. Nel suo percorso teorico-politico Krahl giunge a conclusioni non distanti da queste. Egli ritiene infatti che il punto di arrivo di questo processo sia massimamente rappresentato dall’industria scientifica “che non tollera più nemmeno la possibilità di pensare [i] bisogni qualitativi e ne scredita la formulazione con il marchio della non-scientificità”20. Questo è infatti l’esito21 più coerente dell’avvento della tecnologia così fortemente richiamato anche da Pollock durante la fine degli anni Cinquanta22. Sul piano politico-sociale la “tendenza storica dell’accumulazione capitalistica” conduce, secondo la prospettiva di Krahl23, “ad un fascismo industriale”24. L’itinerario che, successivamente, porterà dall’avvento capitalistico delle macchine fino ai giorni nostri sarà impiantato coerentemente su questa struttura accumulativa che, tra gli altri, Panzieri e Krahl hanno aiutato a definire. Perciò, come ha lucidamente argomentato Roberto Finelli, il ripiegarsi della società contemporanea nella dimensione dell’impresa capitalistica, oramai indiscutibilmente percepita come l’unico modello di relazioni socio-economiche possibile, “produce già una profonda limitazione dei modi possibili di esperire il mondo” a causa della logica specifica dell’oggetto specifico considerato, ossia il mondo informatico-digitale. In questo specifico dominio, al lavoratore non resta che divenire “un soggetto essenzialmente calcolante che percepisce ed elabora il mondo secondo trame e connessioni di senso quantitative, ossia già provviste di un elevatissimo grado di standardizzazione e di riduzione qualitativa”25 Siamo quindi di fronte ad un vasto dominio del quantitativo a cui lo stesso Krahl si riferisce quando parla della possibilità che i rapporti sociali della società capitalistica siano “perfettamente adeguati alla razionalità tecnologica della ragione strumentale prodotta dall’automazione”26. Il bit, l’informazione digitale elementare, rappresenta oggi una delle principali fonti della ragione macchinico-tecnologica contro i lavoratori, anche attraverso forme all’apparenza non costrittive. Per Krahl quindi se “scienza e tecnica sono diventate oggi un’universale forza produttiva sociale ed economica […] occorre muovere dall’allargamento del lavoro produttivo”27, per porre il problema della possibilità del rovesciamento dello stato di cose presente. Non è possibile giungere ad un compromesso rispetto all’uso capitalistico delle macchine che si dispiega nella fabbrica e nella società. In questo tentativo di comprensione teorico-politica dell’intero decennio degli anni Sessanta (tale è lo spazio delle analisi più puntuali di Panzieri e Krahl) emerge, come una costante, la centralità delle dinamiche tecnologiche di trasformazione del capitale. Per entrambi i pensatori, il capitalismo macchinico, per usare una formula sintetica, sussume il tempo di vita in tempo di lavoro28. La critica a questa dimensione quantitativa è considerata strategica per Krahl. Egli ritiene infatti che “sarà la critica al positivismo a fornire il quadro entro cui possiamo articolare le categorie di una teoria rivoluzionaria”29, ancora una volta in netto contrasto con le posizioni di Habermas.

La storia della decomposizione di classe che attraversa l’ultimo scorcio del Novecento per giungere al XXI secolo, sembra confermare le priorità teoriche di Krahl. Considerare il presente come il tempo in cui sono già maturate, automaticamente, le condizioni di rifiuto dello sfruttamento capitalistico, rischia di non rendere possibili forme di lotta all’altezza delle mutate condizioni produttive. Queste ultime sono il luogo che, secondo il collettivo Endnotes, rende l’unificazione delle forze del lavoro semplicemente non possibile: “Under these conditions, the unification of the proletariat is no longer possible”30. Le stesse lotte studentesche, a cui si riferisce Krahl, mostrano al filosofo tedesco tutte quelle difficoltà che porteranno, solo tre anni dopo il 196831 alla “autodistruzione del movimento studentesco” tedesco occidentale, come afferma Detlev Claussen nella sua premessa all’edizione italiana degli scritti di Krahl32. Tuttavia la questione più rilevante, che emerge anche da quel movimento, così come dagli scioperi torinesi a cui faceva riferimento Panzieri, è il fatto che il perimetro sociale del secondo Novecento, invaso dal modo di produzione capitalistico, “diventa sempre più tecnologico”33.

È a questo punto che il discorso di Krahl si offre come un tentativo di risposta, seppur articolata, al problema dell’uso non capitalistico delle macchine indicato da Panzieri. Per il filosofo tedesco occorreva, kantianamente, “recuperare alle scienze la dimensione dell’interesse emancipativo della ragione, per tradurre sul piano materialistico della lotta di classe quella domanda di filosofia della storia, mediatrice di teoria e prassi, che fu enunciata dall’Illuminismo borghese”34. Mostrando questa possibilità, Krahl di fatto perimetrava uno spazio non capitalistico evocato anche da Panzieri. Per riuscire ad intraprendere questo percorso è necessario, secondo Krahl, interrogarsi in profondità sul significato del modo di produzione capitalistico e sulla rappresentazione delle sue leggi. Nel caso del modo di produzione capitalistico a forte base tecnologica, per Krahl occorre innalzare il livello dell’analisi e non cadere in facili scorciatoie come un ottimismo fatale nei confronti del progresso. Ecco una prima via d’uscita dal dominio capitalistico: occorre liberarsi dall’idea che in questa seconda natura vi siano leggi immutabili il cui telos è il progresso umano. Queste leggi, al contrario di quelle della prima natura, hanno un fondamento storico e perciò in quanto tali possono essere superate. Non vi è quindi un “naturale e continuo progresso del genere umano” in grado di far abbandonare l’idea che la fine dello sfruttamento possa avvenire teleologicamente, magari con i giusti correttivi che un sapiente riformismo è in grado di applicare al sistema35. Dietro a questo discorso sullo stato del tardocapitalismo è possibile rinvenire in Krahl una grande somiglianza rispetto ai discorsi d’analisi portati avanti dall’ultimo Panzieri. Da un lato vi è la presa di coscienza che le macchine non hanno una connotazione neutrale, ma sono sempre uno strumento di potere. Dall’altro emerge una dimensione di pari profondità. La natura del capitalismo tecnologico si manifesta come il luogo di riconfigurazione e di risposta che il capitale autodefinisce, per cercare di fuoriuscire da possibili orizzonti di crisi. Un ruolo centrale, in questo processo di analisi, lo gioca, identicamente in Krahl come in Panzieri, la considerazione del ruolo attivo che deve avere il proletariato (o comunque quell’insieme sociale che si oppone alla ragione macchinico-tecnologica) di fronte all’espansione del modo di produzione capitalistico. Come si è accennato in precedenza, l’idea di affiancare, alla denuncia della forza del capitalismo tecnologico, la ricerca di una soggettività che sia in grado di opporsi, di limitare, di rompere lo sviluppo del modo di produzione attuale, è una forte esigenza di entrambi gli autori.

Con un riferimento esplicito alla lucida e articolata concezione della crisi presente in Grossmann36 Krahl afferma leninianamente che “la liberazione o avviene con la coscienza e la volontà degli sfruttati o non avviene affatto”37. Si tratta di un discorso che Panzieri38 esplicita da un lato, con un richiamo a Pollock in merito al rapporto tra crisi e pianificazione, e dall’altro con un dialogo privilegiato con il pensiero di Marx della maturità39. Il capitale, come afferma anche Panzieri, si mostra sempre in tutta la sua dinamicità. Quindi il fondatore dei Quaderni rossi può affermare che “[…] il capitalismo ha come una delle sue caratteristiche fondamentali quella di essere una formazione storico-sociale, un sistema storico-sociale altamente dinamico. Si potrebbe dire che i due termini capitalismo e sviluppo sono la stessa cosa”40. Un discorso molto simile è rintracciabile anche in Krahl il quale afferma: “Come hanno rilevato Marx ed Engels, Lenin e Rosa Luxemburg in situazioni storiche di volta in volta diverse, la dittatura del capitale riesce sempre a trovare una via d’uscita all’ultima crisi”41. Per questa ragione, per la dinamicità che qualifica il capitale, occorre, secondo Krahl, a costo di sembrare romantici, riappropriarsi della dimensione dei bisogni. “Se rinunciamo a formulare questi bisogni emancipativi, magari con categorie scientificamente insufficienti, finiremo anche noi negli ingranaggi del processo che trasforma le scienze in tecnologia”. La massiccia immissione di tecnologia nel modo di produzione capitalistico deve essere letta, secondo Krahl e Panzieri, non come il segnale dell’avvento dell’ultima fase del capitalismo, ma al contrario, come l’espressione della potenza di questo modo di produzione capace di imprimere maggiore sfruttamento, un incremento della sussunzione reale, ai propri dominati. All’incremento della composizione organica del capitale corrisponde, con inquietante simmetria, il movimento di decomposizione della soggettività antagonista. Viceversa l’idea di un ultimo stadio del capitalismo è da considerare “mitologia”42. Non vi è qui lo spazio per riprendere analiticamente il legame che queste considerazioni offrono con il concetto di pianificazione e, in particolare, con il ruolo dell’istituzione statale in questo processo. Va ricordato che su questo argomento era intervenuto, con un lavoro d’avanguardia, Pollock. Il tema è comunque ben presente sia in Panzieri che in Krahl. In entrambi i casi, vi è la consapevolezza di come la razionalità e il potere di pianificazione siano una raffinata tecnologia di dominio43 del capitale sul lavoro.

Occorre quindi pensare che la fabbrica è il primo luogo in cui scienza e tecnica sono messe al servizio della sussunzione reale, ossia della sempre più spossante estrazione di plusvalore. In aggiunta a ciò, la società, in senso generale, diviene lo spazio in cui la medesima razionalità materializza i luoghi di collocazione dei beni sfornati in fabbrica con un ritmo sempre più intenso. Per far ciò, ed è questo l’elemento di accelerazione, il modo di produzione capitalistico deve dotarsi di forme tecnologiche legate al convincimento e alla sua pianificazione, operanti quindi attraverso la chiave del desiderio la cui attualità è oggi ritornata in primo piano, ad esempio grazie alle analisi di Pun Ngai44. L’estrema vitalità, dimostrata dal modo di produzione capitalistico a forte base tecnologica, mette in luce quindi non solo il ruolo non neutro della tecnologia, ma la capacità di quest’ultima di colonizzare, con un salto qualitativo, ampi strati della sfera di riproduzione della forza lavoro. Centrale, in questo senso, è l’accelerazione, impressa a partire dagli anni Sessanta. È quindi nel pensiero di Krahl, più che nelle intuizioni di Panzieri, che può maturare una considerazione che gli eventi politici del 1989 mostreranno drammaticamente. Secondo il filosofo tedesco infatti “manca ancora una teoria rivoluzionaria per la fase finale del capitalismo”45 Per iniziare a costruirla, occorre focalizzare lo sguardo all’incrocio tra le due dimensioni che abbiamo appena descritto: quella produttiva e quella sociale. In entrambe sembra dominare il piano della razionalità tecnologica. La onnipresenza del fattore tecnologico pone quindi un problema teorico e politico al tempo stesso. Rimane infatti la dubbiosa questione “se una teoria rivoluzionaria sia ancora possibile come critica dell’economia politica o se invece, come implicitamente suppone Marcuse, debba essere scritta come critica della tecnologia politica”46. Già nel 1956 Panzieri si era espresso con accenti simili: “Il marxismo come «critica della ideologia», come demistificazione da ogni assolutismo ideologico, politico, sociologico ecc., come libera ricerca e libero sviluppo scientifico, deve ritrovare, oggi, la sua forza di emancipazione o di liberazione”47. Occorre quindi adattare l’indagine al contesto, seguendo il metodo marxiano. Su questo piano di apertura Panzieri e Krahl si incontrano nuovamente. “Sarebbe un’assurdità logica supporre che, una dottrina come il materialismo storico; vera teoria della storia e della trasformazione cosciente, fosse sottratta alla storia e al mutamento”48.

Si giunge qui ad un ulteriore elemento di analisi. In La filosofia della storia dello stato autoritario Krahl, mette a confronto le riflessioni sugli apparati statali di Horkheimer (che a loro volta potrebbero essere collegate alle considerazioni di Pollock sul medesimo tema) con quelle di Marcuse sul tardocapitalismo, presenti in L’uomo a una dimensione49. In questa occasione Krahl si trova a citare il Frammento sulle macchine. È questo un punto di grande interesse per un possibile confronto tra i due autori e le rispettive prospettive. È bene ripercorrere in sintesi il ragionamento di Krahl e successivamente ricavarne alcune considerazioni, in relazione alla posizione espressa anche da Panzieri sul medesimo argomento. Quello che, secondo Krahl, emerge dal testo di Horkheimer è che la tensione alla ricerca del plusvalore, di cui il capitalismo tecnologico è una forma di evidente accelerazione, produce come effetto la trasformazione dell’intera società: fabbrica, mercato, Stato moderno sono gli assi principali di questo incessante riassetto sociale. Perciò “la dinamica dell’accumulazione, che coinvolge tutto il sistema, tende al capitalismo autoritario di stato e poggia sul nuovo carattere monopolistico delle forze produttive che si socializzano su un terreno interno al capitale e, quindi, su una mutata costellazione di produzione e circolazione”50. A questa immagine complessiva, Krahl aggiunge le riflessioni di Marcuse. Quest’ultimo coglie, secondo Krahl, gli effetti interni e profondi del rapporto uomo-macchina che, come si è già affermato, è anche per Krahl, determinante in questo passaggio del modo di produzione capitalistico. “La crescente automatizzazione delle forze produttive industriali tenderebbe a spostare radicalmente il peso dei fattori che costituiscono il processo lavorativo, la posizione dei produttori rispetto alle macchine e il rapporto fra lavoro vivo e lavoro oggettivato”51. Il protagonista di questa dinamica è il sistema di produzione, a prescindere dalla presenza umana o da una sua radicale riduzione. Si trova qui in Krahl una critica all’uso capitalistico degli strumenti teorico-pratici che da un lato hanno portato l’automazione nelle fabbriche, dall’altro hanno forgiato strumenti di colonizzazione ideologica delle coscienze. Si è così costituito un “progresso tecnico e scientifico” che “attua una trasformazione «totalitaria del sistema delle società borghese» e rende possibile «la trascendenza storica verso una nuova civilità»”, afferma Krahl riportando le parole di Marcuse52. È esattamente qui che Krahl riporta, come Marcuse, richiami ai Grundrisse ed in particolare al Frammento sulle macchine. Argomenta Krahl: “Secondo Marx, l’automazione, ossia l’assorbimento della scienza nel macchinario industriale, opera una tecnologizzazione totalitaria dell’economia politica. E così, aggiunge Marcuse, si giunge alla piena effettualità del principio della «razionalità tecnologica» che è da sempre geneticamente e logicamente insito alla tecnica industriale e alla scienza moderna e pare vincolare il dominio sulla natura al dominio sugli uomini. Nella sua critica al concetto weberiano di razionalità, Marcuse osserva che «quando la tecnica diventa la forma universale della produzione materiale, ciò delimita un’intiera cultura, configura una totalità storica, un ‘mondo’»”53. È interessante notare qui, la grande affinità con il discorso di Panzieri. Quest’ultimo, citando Marx, individua nel medesimo passo “una teoria della «insostenibilità» del capitalismo al suo massimo livello di sviluppo”54. Inoltre, e in continuità con quanto sopra esposto, il Frammento non viene utilizzato quale conferma che, grazie alla preponderanza del capitale fisso, saremmo ormai di fronte al crollo automatico del capitalismo. L’obiettivo principale, per Panzieri e per Krahl, sembra piuttosto essere quello di osservare il sistema indipendentemente (o se si preferisce prima) dalla sua insostenibilità. La considerazione di entrambi sembra piuttosto essere quella per cui il sistema, pur muovendosi verso la sua insostenibilità, stia comunque funzionando e stia producendo effetti di sfruttamento generale sulla società. Infatti Krahl ritiene che la strada da seguire, in questo contesto di affermazione del capitalismo a forte base tecnologica, possa essere ripresa dalle considerazioni dell’autore de L’uomo a una dimensione. La concezione di Marcuse porta alla conclusione che la teoria rivoluzionaria non può più essere una critica dell’economia politica perché le tendenze storiche che operano in essa spingono verso una critica della tecnologia politica55.

Le macchine sono quindi un formidabile strumento del capitale. Le macchine, nell’orizzonte del modo di produzione capitalistico, esattamente come pensava Panzieri, non possono essere concepite se non pensate come declinazione del capitale. Il capitale quindi, come riporta Krahl citando Horkheimer, riesce, attraverso il “progresso tecnico e scientifico”56 a invertire le potenzialità lì contenute e a trasformarle in elementi della valorizzazione di se stesso. Non si è reso superfluo il lavoro, si sono resi superflui i lavoratori. Si tratta di una “dialettica fatale” che, con Horkheimer e Marcuse, ha prodotto una trasformazione fondamentale della soggettività rivoluzionaria. La forza, con la quale la rivoluzione tecnologica del modo di produzione capitalistico, strumento di offesa contro il lavoro, manifesta i suoi chiari effetti è quindi sotto gli occhi di Krahl. L’epoca alla quale egli fa riferimento è la negazione della situazione interpretata con entusiasmo da Panzieri nei primissimi anni Sessanta. L’uso capitalistico delle macchine ha prodotto i suoi effetti più violenti, sconfiggendo e disgregando la classe lavoratrice e i movimenti operai. Krahl individua in maniera interessante il fatto che l’espulsione dal lavoro dei “pauperi”, di coloro che le macchine hanno reso superflui, è la dimostrazione della permanenza della contraddizione nel modo di produzione57. Perciò il capitalismo, almeno fino a qui, ha dimostrato di saper vivere anche dentro la propria contraddizione. L’urgenza di questa situazione pone a Krahl il problema del rapporto tra capitalismo tecnologico a forte composizione organica e la riorganizzazione tra le fila di tutti coloro che questa organizzazione subiscono, ivi compresi coloro che appartengono alla dimensione sociale del general intellect. Non vi è tempo per attendere la marxiana formazione della classe lavoratrice, quella che, Krahl ricorda come una lunga preparazione degli operai. Occorre piuttosto un’azione repentina. “Per il rivoluzionario, il mondo è sempre stato maturo… Egli sta con i disperati, non con quelli che hanno tempo”58. Krahl invita quindi ad agire secondo l’urgenza del momento. Riferendosi ad Horkheimer egli ribadisce la centralità anche della dimensione della volontà. “Il rovesciamento che pone fine al dominio si estende tanto quanto la volontà dei liberati. Ogni rassegnazione è già una ricaduta nella preistoria”59.

Giunti a questo punto è opportuno soffermarsi a riflettere su questioni che interrogano anche il XXI secolo. Infatti la volontà dei liberati, di cui parla Krahl è anzitutto e preliminarmente coscienza del proprio stato. In La dialettica della coscienza antiautoritaria Krahl si confronta con alcune tematiche di grande rilievo le quali, secondo il punto di vista della vittoria politica del capitalismo a forte base tecnologica, possono essere viste come un ulteriore contributo al completamento del discorso panzieriano. È infatti senza dubbio la coscienza di classe, che si è data storicamente, a doversi fare carico del confronto con l’esperienza della propria crisi. “Nella lotta contro la sfilacciatura del mondo delle esperienze quotidiane, ridotto ad una molteplicità di informazioni manipolate, che è cieca nei confronti del dominio, il movimento ha ricostituito il germe di un concetto astrattamente giusto del falso intero sociale”60. Tuttavia Krahl non nasconde che questi timidi segnali di decodifica del tempo presente si debbano confrontare con convinzioni ideologiche che hanno prodotto una “stagnazione piccolo-borghese”61. Infatti nel movimento di protesta studentesco del 1969 Krahl intravede due limiti: da un lato l’emancipazione dalla prospettiva liberale ha esaurito la sua spinta; dall’altro continua a mancare una organizzazione di carattere proletario. L’effetto della protesta studentesca nelle “repressive condizioni di socializzazione della tecnologia”62 pone evidentemente il problema della “oggettiva impossibilità per il movimento di protesta di compiere un’autodeterminazione di classe”63. Siamo di fronte alla scomparsa della classe come totalità, a causa del fatto che il soggetto piccolo borghese, e quindi anche parte del movimento studentesco, argomenta Krahl, è incapace di percepirsi al di fuori degli interessi personali e immediati. Insomma, gli atteggiamenti piccolo-borghesi, l’assolutizzazione degli egoismi e la volontà di soddisfare solo i propri limitati bisogni di emancipazione hanno, di fatto, per Krahl “distrutto […] la possibilità di una comunicazione politica modellata sui bisogni socialisti di solidarietà”64. Il movimento studentesco antiautoritario tratta “il regno della libertà come una piccola proprietà privata […] e si ispira all’idea del diritto al possesso che spetta alla prima occupazione della terra”65, una difesa egoistica dei propri piccoli privilegi che aveva colpito anche le fabbriche attraverso la divisione interna ai lavoratori.

Ritornando al rapporto tra movimento degli studenti e mondo di fabbrica, si scorge l’errore strategico della mancata ricerca della classe come totalità. In altri termini, a partire dalla costituzione ideologica appena descritta, diviene impossibile un contatto con il mondo del proletariato industriale. L’emarginazione delle istanze di liberazione non ha attraversato le vite e le speranze di tanti uomini e donne senza produrre effetti. Politicamente il prezzo da pagare per la difficoltà di essere all’altezza del capitalismo tecnologico è stato altissimo. La forza del capitalismo tecnologico e l’incapacità di azione sul suo stesso piano ha determinato una frattura politica e, prima ancora teorica, da cui occorrerebbe ripartire. Del resto Panzieri andava ripetendo che occorreva leggere la realtà all’altezza del capitale. Non farlo oggi, come allora, significa che, per usare un linguaggio vicino a quello di Krahl, altri raccoglieranno i bisogni dei meno abbienti e come i tempi presenti sembrano presagire, quei bisogni assumeranno la forma violenta e regressiva della paura sociale. E c’è da rammaricarsi perché la capacità di catalizzare politicamente la paura sociale è oggi uno dei tratti distintivi delle politiche orientate ad una società intimorita e sconfitta e per questo incapaci di immaginare il tema dell’emancipazione. Metodologicamente Panzieri aveva già indicato una strada da seguire; essa consiste nel “superare questa visione frantumata, malamente empirica della realtà e a reimpadronirci di una visione marxista della realtà, per cui reale non è il dato empirico, questa o quell’azienda vista come un atomo, ma reale è il capitale così come si manifesta in questa o in quella situazione”66. Cogliere il senso di classe come totalità può avere quindi il significato di ripartire dalla sconfitta subita, imparando a leggere marxianamente le singole questioni tra classi e quelle che stanno dentro le classi. In questo caso, con Krahl la questione dei bisogni non assumerà la forma di una contesa tra sfruttati. Probabilmente Krahl declinerebbe così questo programma sociale per l’uscita dalla presa asfissiante del capitalismo tecnologico: essere capaci di formulare “la utopia concreta”67 in grado di prendere avvio dalla costatazione ineliminabile che “la disgregazione della prassi politica” non può non essere ricondotta alla “nuova qualità storica della scienza come forza produttiva”68.

Note

Note
1Francesco Apergi, «Sulle origini di una sociologia marxista in Italia: il caso dei Quaderni rossi», Critica marxista, vol. 1, 1978: 114.
2Giacomo Marramao, «Introduzione. Note sul rapporto di economia politica e teoria critica», Teoria e prassi dell’economia di piano, Bari, De Donato, 1973, pp. 11–47.
3Manfred Gangl sottolinea come Pollock non sia solo un membro sconosciuto della scuola. Infatti Gangl nel suo testo si spinge indagare l’influenza di Pollock sulla intera produzione filosofica dei francofortesi. Nevertheless the question should be posed of whether not only his influence on early critical theory has been sorely underestimated, but also his impact on the late philosophies of Horkheimer, Adorno and Marcuse” Manfred Gangl, «The controversy over Friedrich Pollock’s state capitalism», History of the Human Sciences, vol. 29, fasc. 2, aprile 2016: 24.
4Una forte assonanza con il metodo panzieriano può essere rinvenuta nella prospettiva metodologica indicata da Galvano Della Volpe, che, con Panzieri, ha avuto un rapporto intellettuale e personale assai stretto. Per una panoramica delle posizioni di Della Volpe e del dibattito relativo, uno strumento molto utile è la ricostruzione compiuta da Franco Cassano, in Franco Cassano (a cura di), Marxismo e filosofia in Italia: 1958-1971 i dibattiti e le inchieste su Rinascita e il Contemporaneo, Bari, De Donato, 1973.
5Hans-Jurgen Krahl, Costituzione e lotta di classe, Milano, Jaca book, 1973, p. 40.
6Massimiliano Tomba, «Hans-Jürgen Krahl: contestazione e rivoluzione», Pier Paolo Poggio (a cura di), Il sistema e i movimenti : Europa: 1945-1989, vol. II, L’altronovecento, Fondazione Luigi Micheletti Jaca Book, 2011, p. 449.
7H.-J. Krahl, op.cit., p. 148.
8Ibidem, p. 344.
9Ibidem, p. 343.
10Ivi
11Mario Tronti, «La fabbrica e la società», Quaderni rossi, vol. 2, 1978, pp. 1–31.
12Ibidem, p. 2.
13H.-J. Krahl, op.cit., p. 346.
14Raniero Panzieri, Spontaneità e organizzazione: gli anni del «Quaderni rossi» 1959-1964, Stefano Merli (a cura di), Biblioteca Franco Serantini, 1994, p. 74.
15H.-J. Krahl, op.cit., p. 347.
16Nick Dyer-Witheford, Cyber-proletariat: global labour in the digital vortex, Pluto Press, 2015, p. 29.
17Com’è noto, altri percorsi teorico-politici si sono originati a partire da questo snodo storico determinante. Su questo si veda l’ottimo lavoro di Steve Wright, L’assalto al cielo: per una storia dell’operaismo, Alegre, 2008.
18H.-J. Krahl, op.cit., p. 348.
19Ivi
20H.-J. Krahl, op.cit., p. 347.
21Ampi spazi si aprono qui per la riflessione sul ruolo della dimensione quantitativa nel mondo della scuola e della università. Il ruolo dell’intellettuale, nella diaspora positivistica delle scienze è incapace di cogliere il mondo come totalità, Ibidem, p. 349. Krahl infatti parla dell’università come di una “grande officina [che] viene coinvolta nelle contraddizioni del processo di tecnologizzazione”, Ibidem, p. 373.
22Friedrich Pollock, Automazione: conseguenze economiche e sociali, Einaudi, 1970
23Non vi è qui lo spazio per analizzare queste affermazioni in rapporto alle assonanze con Pollock e con il lavoro svolto dalla scuola di Francoforte. Il caso dell’avvento dell’automazione è per Krahl qui uno snodo determinante: “L’automazione è distruzione del capitale, e, secondo il concetto, proprio della filosofia della storia, di forze produttive — metro dell’oggettiva possibilità di creare la storia — indica che gli uomini possono essere liberati dal lavoro. Ma potrebbe anche avvenire che fossero aboliti gli operai, che diventassero un esercito di pensionati, dominati e consegnati alla benevolenza dell’apparato di dominio”. Si veda H.-J. Krahl, op.cit., p. 101.
24Ivi
25Roberto Finelli, «Corpo e mente nel postfordismo. La trappola del “general intellect”», Quaderni materialisti, fasc. 10, 2012: 111.
26H.-J. Krahl, op.cit., p. 101.
27H.-J. Krahl, op.cit., p. 348.
28“Il valore della forza-lavoro era determinato dal tempo di lavoro necessario non soltanto per mantenere l’operaio adulto individuale, ma anche da quello necessario per il mantenimento della famiglia dell’operaio. Le macchine, gettando sul mercato del lavoro tutti i membri della famiglia operaia, distribuiscono su tutta la famiglia il valore della forza-lavoro dell’uomo, e quindi svalorizzano la forza- lavoro di quest’ultimo. L’acquisto della famiglia frazionata per esempio in quattro forze-lavoro costa forse più di quanto costasse prima l’acquisto della forza-lavoro del capofamiglia, ma in cambio si hanno ora quattro giornate lavorative invece di una, e il loro prezzo diminuisce in proporzione dell’eccedenza del pluslavoro dei quattro sul pluslavoro dell’uno. Ora, affinché una sola famiglia possa vivere, quattro persone devono fornire al capitale non solo lavoro, ma plus lavoro. Così le macchine allargano fin dal principio anche il grado di sfruttamento, assieme al materiale umano da sfruttamento che è il più proprio campo di sfruttamento del capitale”, Karl Marx, Il capitale: Critica dell’economia politica, (tradotto da) Maria Luisa Boggeri et al., vol. I, Roma, Ed. Riuniti, 1989, p. 438.
29H.-J. Krahl, op.cit., p. 350.
30AA. VV., «LA Theses by Endnotes», dicembre 2015, https://endnotes.org.uk/other_texts/en/endnotes-la-theses.
31Asad Haider, «Hans-Jürgen Krahl: From Critical to Revolutionary Theory», Viewpoint Magazine, 2014, https://viewpointmag.com/2014/09/29/hans-jurgen-krahl-from-critical-to-revolutionary-theory/
32H.-J. Krahl, op.cit., p. 350.
33Ibidem, p. 238.
34Ivi.
35Ibidem, p. 240.
36Cfr. Ivi. Qui Krahl in una nota di La filosofia della storia dello stato autoritario afferma: “Anche Henryk Grossmann, uno dei massimi teorici marxisti della tendenza economica al crollo e deciso oppositore delle distorsioni riformistiche, sottolinea analiticamente l’oggettiva inevitabilità e necessità del crollo capitalistico, ma si rivolge contro un fatale automatismo della legge del crollo quando afferma che «il crollo del capitalismo, benché in determinate circostanze sia oggettivamente necessario e anzi prevedibile con esattezza, non è un evento automatico che si possa attendere passivamente. La sua realizzazione può essere influenzata, entro certi limiti, dall’agire consapevole delle due classi».
37Ibidem, p. 242.
38Infatti, secondo Panzieri: le “«contraddizioni immanenti» non sono nei movimenti dei capitali, non sono interne al capitale: solo limite allo sviluppo del capitale non è il capitale stesso, ma la resistenza della classe operaia. Il principio della pianificazione, che per il capitalista è previsione, «certezza del risultato», «proporzionalità razionale» all’operaio «s’impone soltanto come prepotente legge naturale». Nel sistema di fabbrica, l’aspetto anarchico della produzione capitalistica è unicamente nella insubordinazione della classe operaia, nel suo rifiuto della «razionalità dispotica»”, Raniero Panzieri, «Plusvalore e pianificazione», Quaderni rossi, vol. 4, Nuove edizioni operaie, 1976: 271.
39Secondo Giacomo Marramao “[…] Panzieri, saltando a piè pari un nodo fondamentale del discorso di Marx (presente soprattutto nei Grundrisse), del quale egli stesso aveva sottolineato la complessità arrivava alla conclusione che le «contraddizioni immanenti» hanno perduto completamente il loro carattere naturalistico proprio della fase concorrenziale: le «contraddizioni immanenti» non sono nei movimenti dei capitali, non sono “interne” al capitale: solo limite allo sviluppo del capitale non è il capitale, ma la resistenza della classe operaia»”, Giacomo Marramao, «Teoria della crisi e “problematica della costituzione”», Critica marxista, vol. 2–3, 1975: 117.
40R. Panzieri, La ripresa del marxismo-leninismo in Italia cit., pp. 170–171.
41H.-J. Krahl, op.cit., p. 242.
42R. Panzieri, «Plusvalore e pianificazione» cit., p. 287.
43Come afferma Krahl: “Lo stato autoritario è la scappatoia politica del capitale per sfuggire alla crisi economica” H.-J. Krahl, op.cit., p. 243.. Delegare ad un avventuriero e alla sua banda, Ivi.
44Ngai Pun et al., Morire per un iPhone, in Attualità internazionale, Jaca book, 2015.
45H.-J. Krahl, op.cit., p. 245.
46Ivi.
47Raniero Panzieri, Scritti 1956-1960. La crisi del movimento operaio. Scritti interventi lettere; Dario Lanzardo, Giovanni Pirelli (a cura di), Lampugnani Nigri, 1973, p. 38.
48H.-J. Krahl, op.cit., p. 245.
49H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, cit.
50H.-J. Krahl, op.cit., p. 249.
51Ivi.
52Ivi.
53Ibidem, p. 250.
54R. Panzieri, «Plusvalore e pianificazione» cit., p. 285.
55H.-J. Krahl, op.cit., pp. 249–250.
56Ibidem, p. 252.
57Ibidem, p. 148.
58Ibidem, p. 252.
59Ibidem, p. 253.
60Ibidem, p. 331.
61Ibidem, p. 332.
62Ivi.
63Ibidem, p. 333.
64Ibidem, p. 334.
65Ivi.
66R. Panzieri, Spontaneità e organizzazione, cit., p. 76.
67H.-J. Krahl, op.cit., p. 338.
68Ibidem, pp. 361–362.

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