Un ecosistema invisibile

Il sistema dell'arte contemporanea e l'industria culturale a Lecce

I-Re-del-Mondo-2_2014_sala-I
Luigi Presicce, Re del mondo sotto il cielo di terra (2014) - Castello di Acaya, Vernole (Lecce).

Pubblichiamo qui un estratto dal libro di Tommaso Ariemma e Giulia Netti, Il sistema dell’arte contemporanea e l’industria culturale a Lecce, appena pubblicato dalle Edizioni Milella. Un’inchiesta sull’esistenza e il funzionamento del sistema dell’arte nel sud Italia e una verifica empirica delle ricadute sul territorio delle attività culturali e creative della città. Ringraziamo l’editore e gli autori per la disponibilità.

***

Se a Lecce vi è un sistema, o una rete di rapporti relativi all’arte contemporanea, si configura piuttosto come un ecosistema, una vera e propria «plenitudine». Le reti sociali artistiche sono precarie, eppure non prive di vitalità. Si tratterebbe, dunque, di un sistema caratterizzato da vere e proprie «nicchie ecologiche». Un artista collabora con altri amici artisti o con il suo amico curatore, insieme al quale espone all’interno di un’istituzione o uno spazio pubblico (a volte autogestito) con i quali o l’uno o l’altro hanno un rapporto di amicizia o di scambio.

In questo vero e proprio «habitat» l’Accademia di Belle Arti di Lecce ha svolto, negli ultimi dieci anni, un’attività, oltre che di formazione, innanzitutto di presenza, a volte invisibile ma pur sempre presente, all’interno delle varie nicchie artistiche: spesso queste nicchie, infatti, sono composte da docenti o ex docenti dell’Accademia, oppure da allievi o ex allievi, oppure ancora da chi ha cercato in qualche modo di relazionarsi con l’istituzione semplicemente per il prestigio della collaborazione. Anche chi non ha terminato il percorso di studi quando era studente, come Luigi Presicce, artista salentino che vanta numerosi riconoscimenti sul territorio nazionale, vi è ritornato, seppure per un breve periodo, come docente nell’a.a. 2019/2020. Il caso di Presicce è particolarmente interessante, perché permette di vedere meglio, inoltre, un vero e proprio cambio di paradigma non solo nel contesto leccese, ma su tutto il territorio nazionale, a partire dagli anni Novanta, e in modo particolare nell’ultimo decennio preso in esame.

In un’intervista rilasciata a una studentessa nel giugno del 20231, l’artista in primo luogo confessa che, quando era studente, proprio negli anni Novanta, la decisione di abbandonare l’Accademia fu incentivata in modo «paradossale» proprio dall’Accademia stessa: «Non mi sono mai diplomato. A contribuire a questa fuga dalle aule fu paradossalmente un insegnante che all’epoca faceva l’assistente della cattedra di pittura, Paolo Lunanova. Portando me e un altro studente a Bologna per allestire lo stand della galleria Bonomo (Bari) ad Arte Fiera, ci catapultò direttamente dalle pagine stampate dei libri alle opere vere. All’epoca non c’era Internet e vedere le cose dal vivo era un sogno, poterle toccare ancora di più. Lì, alla Galleria d’Arte Moderna, sotto una tela dipinta da Julian Schnabel, decisi concretamente quello che volevo fare nella vita»2.

Presicce entra così in contatto, in poco tempo, riuscendo a trovare un proprio spazio, con un ambiente sicuramente più vivace e attento di quello salentino dell’epoca. In un’altra recente intervista, realizzata tra il 2019 e il 2021, rilasciata a Santa Nastro, caporedattrice della rivista Artribune, e contenuta nel volume Come vivono gli artisti?, l’artista dichiara: «Ho iniziato a vendere il mio lavoro da subito a vent’anni (non avevo neanche finito l’Accademia), dipingevo ritratti di ragazze che truccavo da clown e il mio talento pittorico mi aveva fatto guadagnare la copertina di Flash Art, un numero speciale sulla pittura. Lavoravo con una galleria vecchia scuola, lo studio d’arte Cannaviello. Vecchia scuola non vuol dire retrograda, vuol dire che facevano le cose a modo, come si faceva una volta e come forse andrebbero fatte sempre: ti mettevano nelle condizioni per le quali non ti poteva mancare nulla, ti compravano tutti i tuoi lavori sempre, a prescindere che si vendessero o meno» (Nastro, 2022, p. 179).

Figlio di un pescatore, riesce a fuggire dalla provincia di Lecce (che non vuole chiamare Salento, ormai associato per l’artista solo a turismo e a mode) e a vivere grazie al lavoro di artista. Ma erano altri tempi. I galleristi sono molto cambiati, insieme al modo di considerare l’arte, soprattutto dei giovani. Presicce stesso, nell’intervista sopracitata, dichiara di non avere più una galleria di riferimento e che preferisce investire le proprie energie creative in progetti che vedono coinvolti altri artisti o studenti, a Milano, a Firenze e nella provincia di Lecce.

A San Cesario di Lecce, infatti, si unisce a Emilio Fantin, Luigi Negro, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti, che avevano costituto un collettivo artistico intorno a Lu Cafausu, una «coffee house» decisamente singolare, divenendo così parte di Lac o Le Mon, una Fondazione culturale dove organizza un simposio di pittura: «Quest’anno siamo alla quinta edizione e ogni anno scelgo, tra i pittori che più mi piacciono, con chi condividere gli spazi della fondazione per due, tre settimane di fila. Anche qui non ci sono obblighi di lavoro o imposizioni di alcun tipo, l’invito consiste in una vacanza in un posto molto bello della provincia di Lecce, vicinissimo al mare sia della costa adriatica che ionica. L’unica cosa richiesta agli ospiti è di prendersi cura della casa e degli altri, per cui tutti a turno volontario si dedicano alla spesa, alla cucina, alla lavanderia e a tenere pulito e in ordine. È l’idea comune perfezionata negli anni (con il progredire delle amicizie) e gli esempi non mancano di certo»3. Si tratta di una realtà ancora viva nella provincia, che rivela anche una caratteristica di Lecce e del Salento: la vocazione turistica del territorio ne fa naturalmente una meta per progetti di residenza, summer school, e, soprattutto dopo la pandemia, un luogo per vivere una vita meno frenetica e più incline alla contemplazione e alla meditazione. Non si tratta di un fenomeno nuovo, ma con attività artistiche come quella di Presicce siamo certo lontani da quelle esperienze di buen retiro di artisti e intellettuali che hanno caratterizzato anni non troppo lontani, descritti in maniera suggestiva nel documentario Verso Sud (2009) di Caterina Gerardi e nella relativa edizione a stampa per i tipi di AnimaMundi con i contributi di Marina Pizzarelli e Marilena Cataldini.

Presicce fa, tuttavia, riferimento a un passato leccese ben preciso: «A Lecce passava il meglio del teatro di ricerca italiano, mi ero molto affezionato al teatro Valdoca di Cesena e ai loro autori, Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi. La scena artistica languiva la mancanza di autori di carattere. I due personaggi, che ancora mostro nelle mie lezioni, erano due pazzi, uno da manicomio e l’altro quasi: Edoardo de Candia e Ezechiele Leandro. Il primo girava per la città praticamente nudo e a piedi (senza scarpe), si recava a San Cataldo per dipingere i suoi acquerelli fatti con l’acqua di mare. Era un omone, faceva paura. Il secondo era una specie di mistico naif che raccoglieva di tutto dalla strada e creava mostri di cemento e pezzettini di qualsiasi cosa, dipingeva con la terra esseri vermiformi e aveva creato nel giardino di casa un enorme parco di sculture ispirato alla divina commedia, il Santuario della pazienza. De Candia è morto nel 1992, Leandro nel 1981. Tutto era fermo, assolato, ma fermo. Mentre Carmelo Bene da Otranto sparava gli ultimi colpi del suo genio, io partivo per sempre da Lecce. Mi trasferii a Milano. Avevo vent’anni»4.

Per quanto recente, il caso di Presicce si radica in un modello ben noto a chi si occupa della carriera degli artisti nel territorio salentino. Artisti di generazioni precedenti, come Fernando De Filippi o Ercole Pignatelli, sono, come Presicce, emigrati altrove, al Nord soprattutto, per affermarsi e ritornare nella loro terra solo in un secondo momento. Tra gli anni Sessanta e Ottanta, come è stato osservato, molti artisti scelgono di abbandonare il territorio salentino, avvertendo «l’esigenza di migrare verso quelle città, non solo italiane, che possono offrire maggiori opportunità alla loro formazione e produzione; taluni vi risiedono in concomitanza con l’assunzione di ruoli didattici negli istituti di formazione artistica. Tuttavia non viene a mancare a questi artisti una sorta di ‘richiamo’ del territorio d’origine, dove la gran parte ha più occasioni di partecipazioni artistiche e apparizioni, sia pure fugaci; altri, pochi, rientrano definitivamente per risiedervi, solo in tarda età». (Guastella, 2004, p. 89)

Diverso è il discorso di chi non ha sposato questo modello. Gli artisti che scelgono di rimanere a Lecce, o nella sua provincia, hanno scelto spesso di «sottrarsi», un po’ come i loro predecessori Leandro e De Candia, a un sistema artistico (in realtà poco «sistema» e molto debole anche al Nord o in Europa), preferendo l’alleanza e il riconoscimento dei pari, o semplicemente il gusto del fare arte e di insegnarla.

Riferimenti bibliografici

Massimo Guastella, Per l’avvio ad una storia dell’arte nel Salento nel secondo Novecento (anni ’60 –’70), in «Kronos», n.7, pp- 81-104 (2004).

Santa Nastro, Come vivono gli artisti?, Castelvecchi (2022).

 

Note

Note
1Intervista a cura della studentessa Paola Solazzo, corso di Sociologia dell’arte a.a. 2022/2023, giugno 2023.
2Ibidem.
3Dall’intervista di Paola Solazzo, cit.
4Ibidem.

Newsletter

Per essere sempre aggiornato iscriviti alla nostra newsletter

    al trattamento dei dati personali ai sensi del Dlg 196/03